AB-InBev suona la campana a morto per la birra artigianale

Due anni ancora e il termine craft beer sparirà, secondo un video della multinazionale della birra. Report tratto dal sito Craft Brewing Business

La storia della birra si arricchisce di un nuovo tassello nel complesso puzzle dello scenario strategico tra grande industria e craft beer. Da tempo la birra artigianale è nel mirino dei grandi gruppi: sia in termini di acquisizioni, sia sotto gli attacchi di un marketing a volte aggressivo ed a volte soft. Ne parlai anche poco tempo fa qui.

https://www.youtube.com/watch?v=v1vcl0Mq5MU
Video dell’incontro tra i tre birrai, con la previsione funesta per la birra artigianale

Questa volta la bordata arriva da tre ‘rinnegati’ (in senso ironico) passati al nemico: Jaron Mitchell  (4 Pines Brewing – Australia), Mark Burford (Blue Point Brewery – USA) e Jasper Cuppaidge (Camden Town Brewery – UK). Sui birrifici passati al nemico ho, personalmente, un’opinione meno integralista rispetto alla stragrande maggioranza di chi si riconosce nel movimento craft. In questo caso però c’è poco spazio ai fraintendimenti e si intravede tra le righe una nuova fase tattica. La lunga battaglia tra la microbirrificazione e la macroindustria mette ora in discussione la stessa esistenza in vita del movimento. Ecco il mio commento alla lettura di un report del sito CraftBrewingBusiness, visibile in originale qui.

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L’incontro dei birrai

La reunion dei tre birrai, tutti targati AB-InBev, è guidata da un’altra figura chiave di questa partita a scacchi: Christina Perozzi. La Perozzi è una beer sommelier di origini italiane, autrice di libri di discrete vendite in materia. Insieme alla collega Hallie Beaune è autrice di tre titoli sulla birra. ‘Cerveja em casa’ del 2012, in tema di homebrewing, è l’ultimo titolo in ordine cronologico. In precedena la Perozzi aveva pubblicato ‘The Naked Brewer: Fearless Homebrewing Tips, Tricks & Rule-Breaking Recipes’ che faceva seguito al precedente testo: ‘The Naked Pint: An Unadulterated Guide to Craft Beer’. Su questo titolo si è scatenata una mini-shitstorm di commenti di lettori. Le accuse principali verso il testo sono state: superficialità nei contenuti e banalizzazione del ruolo femminile. Ma tant’è.

Christina Perozzi
Christina Perozzi qualche anno fa
The Beer Chicks
The Beer Chicks: Christina Perozzi e Hallie Beaune

Perchè mi soffermo sulla Perozzi?
Perchè nella sua vita precedente era una fervida sostenitrice del movimento craft. Qualcosa deve essere successo, però, all’incirca nel 2015. A quel periodo risale un cambio di rotta intuibile sia dall’abbandono dei progetti editoriali, sia dalla fine dell’attività di The Beer Chicks, sempre insieme alla Beaune. Arriviamo infine al suo attuale posizionamento come divulgatrice presso Goose Island. Ricordo a me stesso che il birrificio di Chicago fu uno dei primi ad essere acquistato da una multinazionale, nel 2011. 

Logo Goose Island
Logo del birrificio Goose Island di Chicago, acquisito da Ab-Inbev nel 2011

A questo punto dovrebbe essere più chiaro l’ambiente. Siamo in presenza di Ab-Inbev su due livelli base: produttori e divulgatori. Il terreno è pronto, le truppe schierate e il nemico (immobile) nel mirino. Può partire la bordata.

Jaron Mitchell
Jaron Mitchell – 4 Pines Brewing Co.

“Cosa pensi della birra artigianale oggi? Dovremmo ancora usare questo termine?” chiede la Perozzi, mimando con le dita l’odioso gesto delle virgolette per enfatizzare il termine craft beer.

Mark Burford
Linguaggio del corpo. Mark Burford reagisce alla domanda se abbia senso usare ancora il termine birra artigianale. Minuto 1.10 del video.

Mark Burford abbozza un sorriso imbarazzato, guardando il vuoto sulla sua sinistra. Un maniaco del linguaggio del corpo, come il sottoscritto, associerebbe questa postura al ricordo di un suono. Burford sta ricordando cosa significa il temine “craft beer”.
Pazzesco.
A toglierlo d’impaccio arriva Jaron Mitchell che con linguaggio criptico suona la campana a morto per la craft beer.

Penso che questo termine sparirà nel giro di due anni” risponde Mitchell, rincarando la dose. “Probabilmente molto prima del nostro periodo si usava un altro termine. Probabilmente si chiamava birra lucertola [lizard beer]“.

Logo AB-InBev
Logo AB-InBev


L’aquila Ab-InBev diventa un po’ avvoltoio dopo questo lugubre presagio, che fa scatenare il classico rituale scaramantico riassumibile nella massima in latino volgare : in omnia pericula, tasta testicula.

Tornando al concetto espresso da Mitchell, ci si chiede cosa abbia voluto dire con il termine “lizard beer”; birra lucertola. A metterci la classica pezza è l’ufficio stampa di Ab-InBev, contattato dal sito Craftbrewingbusiness che aveva lanciato il quesito. Mitchell non voleva dire lizard beer, ma illicit beer.
Birra illecita.

Sempre Craftbrewingbusiness, analizza dal punto di vista puramente comunicativo lo spot. Leo Leone, executive creative director di Barbarian (la consociata del gruppo che produce contenuti video), chiarisce meglio finalità e metodologia della nuova campagna marketing. Si farà largo uso di Instagram, social arrivato a oltre 1 mld. di iscritti. Più precisamente si farà uso di IGTV, la tv di Instagram.

Lo scopo è arrivare al consumatore senza filtro e in modalità stand alone aggiungerei io, senza il conforto di una voce contro. Il fine lo dichiara lo stesso Leone: indirizzare lo scetticismo sul ruolo di AB-InBev nell’industria della craft beer.

Come suona male la parola industria associata a craft beer.
Non trovi?

Sintetizzando un giudizio sommario sull’episodio è inevitabile soffermarsi sul prodotto, confezionato come spottone. Immagini patinate e rallentate, sottofondo finto rock, audio soft, risate e pacche sulle spalle mentre si ricordano i bei tempi andati.

Sul tavolo quattro bicchieri con quattro birre diverse.
Senza schiuma.

Cheers
Fabio Venditti

Fabio Venditti

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