Chi bazzica nel mondo della birra artigianale italiana sa bene che certi nomi non si dimenticano. Uno di questi è Loverbeer, il birrificio piemontese che ha fatto parlare di sé per anni grazie a uno stile inconfondibile e a un approccio tutto suo. Oggi, dopo oltre quindici anni di attività, Loverbeer ha ufficialmente chiuso i battenti. Ma prima di salutarlo del tutto, vale la pena raccontare perché ha fatto la differenza.
Valter Loverier, fondatore e anima del birrificio piemontese Loverbeer
Dalle fermentazioni casalinghe al culto internazionale
Tutto è partito da Valter Loverier, un appassionato che ha trasformato l’homebrewing in un progetto serio e visionario. In un panorama dominato da IPA e birre luppolate, lui ha deciso di puntare su qualcosa di diverso: fermentazioni miste, ingredienti locali e un tocco di follia creativa. Il risultato? Birre che non si dimenticano facilmente, come la BeerBera con uva Barbera o la BeerBrugna con susine Ramassin.
Non erano birre da bere distrattamente: erano esperienze. E non a caso, Loverbeer è diventato un punto di riferimento anche fuori dai confini italiani, conquistando estimatori in Europa e negli Stati Uniti.
Una chiusura che non cancella il valore
La notizia della chiusura era nell’aria da un po’, ma ora è ufficiale. L’impianto è stato venduto e la produzione si è fermata. Non è chiaro se il marchio tornerà in qualche forma in futuro, ma per ora Loverbeer, così come l’abbiamo conosciuto, è arrivato al capolinea.
Detto questo, non è il momento di fare discorsi nostalgici. È il momento di valorizzare ciò che resta: le ultime bottiglie in circolazione. Perché ogni etichetta Loverbeer è un piccolo pezzo di storia brassicola italiana.
Ultime occasioni per veri appassionati
Se sei tra quelli che hanno sempre voluto assaggiare una Loverbeer — o se vuoi semplicemente fare scorta prima che spariscano del tutto — su Topbeer trovi ancora alcune bottiglie originali. Sono le ultime, e una volta finite… beh, non si torna indietro.
Negli episodi andati in onda su Rai 3 l’8 e il 15 giugno, Report ha dedicato due approfondimenti al mondo della birra. Il reporter Bernardo Iovene ha esplorato le sfaccettature culturali, produttive e salutistiche. Un viaggio che ha messo in luce le dinamiche del mercato, le pratiche di spillatura e il ruolo crescente della birra artigianale in Italia.
Origini Monastiche e Marchi Storici
Uno dei temi affrontati riguarda le birre che si ispirano alla tradizione monastica. Alcuni marchi noti, come Leffe e Grimbergen, evocano un legame con antiche abbazie, pur non utilizzando il marchio ufficiale “Authentic Trappist Product”. Quest’ultimo è riservato esclusivamente alle birre prodotte all’interno di abbazie cistercensi trappiste, sotto il controllo diretto dei monaci e con finalità benefiche. Tuttavia, nulla vieta ad altri produttori di riferirsi a ispirazioni monastiche, purché ciò non induca in errore il consumatore.
Frati trappisti impegnati nella produzione di birra trappista Westvleteren, in un’immagine d’epoca
CO₂, Spillatura e Salute
La puntata dell’8 giugno ha posto l’accento sull’importanza della corretta spillatura della birra. La presenza eccessiva di anidride carbonica, se non gestita adeguatamente, può influire sulla digeribilità della bevanda. La schiuma, spesso sottovalutata, svolge un ruolo protettivo e migliora l’esperienza sensoriale. Esperti intervistati hanno mostrato come una spillatura ben eseguita possa ridurre l’impatto della CO₂ sullo stomaco, rendendo la birra più piacevole e leggera.
Il Mercato tra Multinazionali e Microbirrifici
Report ha evidenziato come il mercato italiano della birra sia fortemente concentrato: oltre il 90% delle vendite è controllato da pochi grandi gruppi internazionali. Marchi storici come Ichnusa, Birra Messina, Moretti e Dreher fanno parte del portafoglio di colossi come Heineken. Peroni è oggi di proprietà del gruppo giapponese Asahi. Questa concentrazione ha portato a una standardizzazione del gusto e a strategie di marketing che puntano più sull’immagine che sulla qualità percepita.
Il team del microbirrificio Opperbacco nella sala cotta
In netta controtendenza, la birra artigianale ha saputo ritagliarsi uno spazio sempre più rilevante. Questo grazie a una crescente attenzione alla qualità, alla territorialità e alla sperimentazione. La cosiddetta “craft revolution”, iniziata in Piemonte nel 1996, ha dato vita a una rete di microbirrifici indipendenti. Questi birrifici oggi rappresentano un’alternativa concreta e affascinante per i consumatori più esigenti. E se un tempo era difficile reperire queste birre fuori dai circuiti locali, oggi gli shop online hanno colmato questa distanza. Buono è l’accesso diretto a etichette rare, stagionali o di nicchia. È proprio in questo scenario che piattaforme come Topbeer diventano veri e propri hub per esploratori del gusto.
Inoltre, l’inchiesta ha mostrato come la birra artigianale non sia solo una moda passeggera. E’ infatti un movimento culturale che valorizza la filiera corta, la sostenibilità e la trasparenza. I mastri birrai italiani, spesso con background da enologi o chimici, stanno reinterpretando stili internazionali con ingredienti locali, creando prodotti unici e riconoscibili. Questo fermento creativo ha trovato nuova linfa anche grazie alla vendita online. Molti siti web consentono ai piccoli produttori di raggiungere un pubblico enorme, senza dover passare per i canali della grande distribuzione.
I Protagonisti della Birra Artigianale Italiana
Le inchieste hanno dato spazio a figure di riferimento del panorama brassicolo italiano. Manuele Colonna, storico publican romano, ha illustrato l’importanza della spillatura e della cultura del servizio. Luigi “Schigi” D’Amelio, noto per la sua esperienza con stili belgi, ha offerto valutazioni tecniche su diverse birre, sottolineando l’importanza della qualità e della coerenza stilistica.
Lorenzo “Kuaska” Dabove, considerato uno dei padri fondatori del movimento artigianale italiano, ha raccontato l’evoluzione del settore con passione e competenza. Isabelle Rivaletto ha contribuito con approfondimenti sulla pulizia dei bicchieri e degli impianti di spillatura, aspetti fondamentali per garantire una birra di qualità. Carlo Schizzerotto, direttore del Consorzio Birra Italiana, ha accompagnato i giornalisti in un viaggio tra degustazioni e riflessioni sul futuro del comparto. Leonardo Di Vincenzo, pioniere dell’imprenditoria birraria, è stato citato come esempio di innovazione e visione internazionale.
Bernardo Iovene (sx), Manuele Colonna (centro) e Carlo Schizzerotto (dx) seduti fuori dal ‘Ma che siete venuti a fa’ a Trastevere durante la registrazione di Report.
Conclusione
Le puntate di Report hanno offerto uno spaccato ricco e articolato del mondo della birra, stimolando riflessioni su ciò che beviamo, su come lo beviamo e su chi lo produce. In un settore in continua evoluzione, l’informazione resta uno strumento fondamentale. E’ importante scegliere con consapevolezza e apprezzare appieno la complessità di una bevanda che è cultura, convivialità e passione.
Se anche tu vuoi scoprire birre artigianali autentiche, selezionate con cura e raccontate con passione, visita il nostro shop online Topbeer. Troverai etichette uniche, storie da bere e un mondo di sapori che non aspettano altro che essere esplorati. 🍺✨
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